Secondo i dati OCSE del 2015, l’Italia si colloca al sesto posto tra i paesi membri per pressione fiscale, con un’aliquota del 43,3% del PIL. Questo dato, pur mostrando un leggero miglioramento rispetto all’anno precedente, la mantiene saldamente tra le nazioni con il carico fiscale più pesante. A titolo di confronto, la Danimarca registra il valore più alto (46,6%), seguita da Francia, Belgio, Finlandia e Austria. Se la pressione fiscale italiana fosse allineata alla media OCSE (34,3%), si libererebbero annualmente circa 153 miliardi di euro, risorse che potrebbero alimentare consumi e investimenti privati, con benefici per le imprese e, indirettamente, per le casse dello Stato attraverso l’incremento delle imposte indirette. Tuttavia, tale scenario appare irrealistico, considerato l’ingente spesa pubblica annua, stimata intorno agli 800 miliardi di euro, di cui circa 70 miliardi destinati al pagamento degli interessi sul debito pubblico, in gran parte a investitori esteri. Al contrario, gli Stati Uniti, con un’aliquota del 26,4% nel 2015, occupano una posizione molto più bassa nella classifica OCSE, un dato che potrebbe subire modifiche in seguito alle promesse elettorali del Presidente Trump di tagli fiscali, soprattutto per le imprese. L’OCSE, organizzazione internazionale con sede a Parigi, raggruppa 35 paesi sviluppati con sistemi democratici ed economie di mercato, fornendo analisi economiche ai suoi membri.
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