Un viaggio nostalgico nei giochi di un tempo, quando la fantasia regnava sovrana e il divertimento non richiedeva schermi o tecnologie avanzate. Negli anni ’40 e ’50, in un contesto rurale e povero, i bambini si ingegnavano, trasformando risorse limitate in occasioni di gioco. A differenza dei bambini di oggi, abituati alle app e ai videogame, i loro predecessori trascorrevano i pomeriggi inventando giochi all’aria aperta. Ricordiamo alcuni di questi passatempi: “e castellucce”, dove castelli di noci venivano costruiti e abbattuti; “o sparo”, che consisteva nel lanciare palline in un fosso, puntando su numeri pari o dispari; “o strummolo”, una trottola di legno che si faceva girare con uno spago, il cui scopo era colpire le trottole degli avversari. Altri giochi popolari erano “azzeccamuro”, dove si lanciavano monete contro un muro per stabilire la precisione; e il classico nascondino (“a nacquarella”), con il suo rituale di “te foco” e “t’alliscio”. Per i più piccoli, c’era “Pis’ e pesielle”, un gioco ritmico con un bastoncino che toccava i piedi dei partecipanti, accompagnato da una filastrocca. Infine, “a settimana”, un gioco per bambine che consisteva nel percorrere un labirinto disegnato a terra, con un sassolino spinto col piede, saltando su una sola gamba e senza toccare le linee. Questo gioco, con le sue varianti a forma di campana o di labirinto, è stato interpretato da alcuni come un’allegoria del viaggio dell’anima dalla terra al paradiso, rispecchiando tradizioni pagane e cristiane.
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