Un violento sisma di magnitudo 6.8, pari all’esplosione di un milione di tonnellate di tritolo, sconvolse l’Italia meridionale il 23 novembre 1980. Un boato assordante, seguito da ottanta secondi di infernale tremore, rasero al suolo interi villaggi, trasformando la notte in un incubo di caos e disperazione. Le comunicazioni crollarono, mentre la popolazione terrorizzata si riversava nelle strade. L’alba rivelò l’enormità della catastrofe: edifici crollati, case sventrate, macerie ovunque. Teora, Castelnuovo di Conza, Conza della Campania: nomi che echeggiano quelli di Amatrice, Accumoli e Norcia, teatro di tragedie simili, a distanza di decenni. Le similitudini tra il sisma del 1980 e quelli più recenti sono agghiaccianti: lo strazio per le perdite umane, la paura delle incessanti scosse di assestamento, la disperazione per la distruzione dei propri averi, le notti insonni trascorse tra le lacrime. Le promesse delle autorità, allora come oggi, risuonano simili: sostegno incondizionato, ricostruzione integrale, soluzioni abitative provvisorie. Speranze che, a distanza di trentasei anni, si scontrano con la dura realtà: molte promesse sono rimaste lettera morta, con alloggi di fortuna ancora presenti in alcune aree. La triste constatazione è che il dolore, le polemiche e le cicatrici di queste tragedie sono inesorabilmente simili. Rimane la desolata consapevolezza del futuro sottratto alle vittime del terremoto, un futuro sepolto sotto le macerie dell’Italia.
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