La Campania: Fanalino di coda nella sanità italiana

La Campania: Fanalino di coda nella sanità italiana

Un recente studio del Centro di Ricerca sull’Economia Applicata alla Sanità (CREA Sanità) dell’Università Tor Vergata di Roma colloca la Campania all’ultimo posto tra le regioni italiane per qualità ed efficienza dei servizi sanitari. Il divario è particolarmente marcato con le regioni settentrionali, che mostrano prestazioni nettamente superiori. Il Veneto, ad esempio, si posiziona in cima alla classifica. Questi risultati sono stati oggetto di un’assemblea pubblica a Napoli, organizzata da Sinistra Italiana, che ha riunito cittadini, associazioni, operatori sanitari e sindacati per discutere la “#Sanità Negata in Campania”. L’incontro ha evidenziato il grave deterioramento del sistema sanitario regionale, giunto, nel 2016, ad un punto di rottura strutturale. Tra le criticità principali emergono la chiusura di ospedali a Napoli, l’assenza di una pianificazione strategica per l’efficientamento dei servizi, le condizioni precarie dei pronto soccorso, paragonabili a scenari di guerra, e la mancanza di rispetto per la dignità e la privacy dei pazienti, spesso costretti ad attese estenuanti in corridoi affollati. I dati del “Tribunale del malato” dipingono un quadro allarmante: i tempi di attesa per una risonanza magnetica raggiungono i 13 mesi, così come per una visita psichiatrica; per una mammografia o una TAC si arriva a 12 mesi, mentre per un’ecografia sono 9 mesi, 7 per una radiografia, 9 per un controllo oculistico, 8 per una visita cardiologica, 6 per un oncologo e altrettanti per un ortopedico. Questi ritardi inaccettabili mettono a rischio l’efficacia della prevenzione e delle diagnosi precoci. Secondo il CENSIS, nel 2016 oltre 11 milioni di italiani, un milione e mezzo in più rispetto all’anno precedente, hanno rinunciato alle cure a causa dei tempi di attesa eccessivi e dell’impossibilità di sostenere i costi di visite private. Coloro che hanno optato per le cure a pagamento hanno sostenuto una spesa media di circa 500 euro a persona. La crisi colpisce anche le strutture private, alle prese con difficoltà finanziarie, riduzione del personale e frequenti cessioni, aprendo la strada a possibili infiltrazioni della criminalità organizzata.