Diffondere voci infondate può avere conseguenze serie. La Corte di Cassazione ha confermato che la diffamazione, ovvero il parlare male di qualcuno in sua assenza, è un reato perseguibile penalmente. Frasi come “Sai cosa ho sentito dire?”, o “Non crederai a quello che è successo!”, spesso aprono la strada a pettegolezzi che, nella nostra società ossessionata dalle apparenze, sono purtroppo comuni sia tra donne che tra uomini. Questi scambi informali, spesso innocui in apparenza, possono però trasformarsi in reati se le informazioni diffuse ledono la reputazione altrui. Le parole, come dice il proverbio, volano, e le dicerie negative, in particolare, si diffondono rapidamente. La persona diffamata può quindi sporgere denuncia, e la pena prevista dall’articolo 595 del codice penale prevede la reclusione fino a un anno (fino a due anni se l’offesa riguarda un fatto specifico), e una multa fino a 1032 euro (fino a 2065 euro nel secondo caso). Una sentenza del 2011 (n. 44940) ha confermato una condanna per diffamazione a seguito della divulgazione di una relazione extraconiugale attribuita a una collega, sottolineando come la lesione della reputazione e della privacy siano sufficienti per configurare il reato. Pertanto, è bene ricordare che, se la saggezza popolare consiglia di occuparsi dei propri affari, le conseguenze legali del pettegolezzo sono concrete e possono essere severe.
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