Il cannolo, emblema della pasticceria siciliana, trae il suo nome dalla canna di fiume, attorno alla quale anticamente si arrotolava la friabile cialda. Questa “scorza”, ottenuta da una pasta a base di farina, zucchero, cacao, sale e Marsala, viene stesa in sottili dischi, pennellati con albume e arrotolati su tubicini metallici prima di essere fritta in abbondante strutto. Il cuore del cannolo è un ripieno cremoso di ricotta di pecora (o vaccina, nella zona di Ragusa, per una consistenza più delicata), zucchero, e aromatizzato con canditi o gocce di cioccolato. Un velo di zucchero a velo completa quest’opera di arte culinaria. Per mantenere la fragranza della cialda, la farcitura va aggiunta al momento del consumo; alcuni pasticcieri, per evitare l’ammollo della pasta, rivestono internamente la cialda con cioccolato fuso. Le origini del cannolo si perdono nella notte dei tempi: già noto agli antichi romani – Marco Tullio Cicerone lo definì “Tubus farinarius, dulcissimo, edulio ex lacte facte” durante il suo periodo a Lilibeo (l’odierna Marsala) – la sua nascita è avvolta in una suggestiva leggenda. Secondo alcuni, durante il dominio arabo in Sicilia (827-1091 d.C.), le donne dell’harem di Caltanissetta (“Kalt el Nissa”, castello delle donne in arabo) modificarono una ricetta romana, creando un dolce dalla forma simile a una banana, farcito con ricotta, miele e mandorle. Altri attribuiscono l’invenzione alle suore di un convento vicino Caltanissetta, che, durante il carnevale, reinterpretarono la ricetta di origine romana, perfezionata dagli arabi, creando il cannolo così come lo conosciamo. Le similitudini tra le due versioni potrebbero essere spiegate dal passaggio delle ricette dalle donne musulmane alle consorelle cristiane dopo la caduta del dominio arabo e l’avvento dei Normanni. Che siano state concubine o suore, l’arte di queste donne ha dato vita a una prelibatezza universalmente apprezzata, un piccolo capolavoro di gusto e tradizione.
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