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Calcio e lesioni: quando la passione sportiva non è reato

La giurisprudenza italiana ha chiarito i confini tra gioco leale e condotta penalmente rilevante negli sport di contatto. Una sentenza della Corte di Cassazione, relativa a un infortunio occorso durante una partita di calcio dilettantistica in Sardegna, ha analizzato la questione dell’accettazione del rischio implicito nella pratica sportiva. Un giocatore dell’Alghero, nel tentativo di fermare un contropiede, ha causato la frattura alla tibia di un avversario con un intervento giudicato eccessivamente violento. I giudici di primo e secondo grado hanno condannato il giocatore per lesioni colpose. Tuttavia, la Corte di Cassazione ha ribaltato la sentenza, riconoscendo l’applicazione della scriminante atipica dell’accettazione del rischio consentito. Secondo la Suprema Corte, il calcio è uno sport che comporta intrinsecamente l’uso della forza fisica, rappresentando un’attività per sua natura rischiosa, ma lecita se accompagnata da adeguate misure di sicurezza. La valutazione del rischio consentito, non astratta ma concreta, considera la proporzionalità della forza impiegata rispetto all’importanza del momento di gioco e alla frequenza degli scontri fisici. Tale rischio è accettato solo nel rispetto del regolamento e in assenza di intenzionalità lesiva. Nel caso specifico, la Corte ha escluso la volontarietà del gesto del giocatore dell’Alghero, interpretandolo come un errore di valutazione nella tempistica dell’intervento, e non come un atto deliberatamente volto a recare danno all’avversario. La sanzione, pertanto, è relegata al solo ambito disciplinare sportivo. In definitiva, la sentenza conferma che la pratica sportiva, anche se caratterizzata da contatti fisici intensi, non equivale automaticamente alla commissione di un reato, purché si rimanga entro i limiti del regolamento e in assenza di dolo.

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