La violenza non è mai giustificata, nemmeno in servizio

Il filmato diffuso da “Chi l’ha visto”, che mostra un carabiniere aggredire una donna che si opponeva alla rimozione della propria auto, solleva interrogativi cruciali sul ricorso alla forza. Nessun incarico professionale, con o senza uniforme, legittima l’uso della violenza, specialmente se coercitivo. Esistono innumerevoli metodi per disarmare una persona, soprattutto se più debole, metodi che un agente, in particolare, dovrebbe conoscere. La scarsa formazione in Italia non giustifica la violazione dell’etica e della dignità umana, anche se la persona in questione si comporta in modo scorretto. La condanna della signora per resistenza a pubblico ufficiale, emessa nel 2011 e in secondo grado, omette la violenza subita, elemento non considerato dal processo. Questa sentenza, dunque, non può essere addotta come prova inconfutabile della correttezza dell’azione del carabiniere, specie in un contesto giudiziario italiano a volte contraddittorio. Kant stesso sostituì l’idea di giustizia a prescindere dai mezzi con quella di saggezza e buon senso. Un’attenta rilettura della Costituzione italiana, incentrata sull’equilibrio tra libertà e democrazia, sarebbe utile per chi indossa la divisa, spesso dimentico che rappresenta lo Stato, quindi il popolo e il cittadino, e ne è il servitore, non il padrone. È fondamentale una formazione adeguata, psico-fisica e giuridica, per tutti gli agenti, per far fronte a qualsiasi situazione. L’assenza di leggi contro la tortura e l’identificazione degli agenti, insieme alle indagini spesso insabbiate su morti causati da violenze da parte delle forze dell’ordine, rappresentano un’assoluta mancanza di progresso civile e di rispetto dei diritti umani. Invece di giustificare la violenza, sarebbe auspicabile una maggiore attenzione alla tutela dei cittadini e all’aggiornamento delle procedure.