La tradizionale propensione italiana al risparmio, radicata nella cultura e sostenuta dall’articolo 47 della Costituzione, sta subendo una significativa trasformazione negli ultimi cinque anni. Le difficoltà economiche, che erodono i risparmi accumulati in periodi più floridi, unite alle inusuali politiche monetarie della Banca Centrale Europea, stanno rimodellando le abitudini finanziarie. L’allentamento quantitativo (quantitative easing) della BCE, con la creazione di ingenti somme di denaro destinate all’acquisto di titoli di Stato e obbligazioni, ricalca strategie già adottate a lungo negli Stati Uniti, Gran Bretagna e Giappone. Questo intervento, pur ispirato alla teoria keynesiana di stimolo economico temporaneo, sembra aver indebolito il ruolo centrale del risparmio privato. La creazione di liquidità attraverso mezzi digitali, bypassando il risparmio individuale, sta divenendo sempre più preponderante. Le banche, giustificando la loro riluttanza a erogare prestiti con l’elevato rischio di insolvenza, contribuiscono involontariamente a questa tendenza. L’onere fiscale e pressioni commerciali, quali l’offerta di acquisti a rate agevolate, incoraggiano gli italiani a ridurre il risparmio e ad abbracciare l’indebitamento, avvicinandoli al modello di consumo statunitense. Questo cambiamento di rotta è una conseguenza inevitabile delle fluttuazioni di mercato o una strategia pianificata? Rimane una questione aperta che merita approfondimento.
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