Il 18 marzo 1944, mentre la Seconda Guerra Mondiale infieriva, il Vesuvio riprese la sua attività eruttiva, riversando due fiumi di lava incandescente. Una colata si arrestò a sud, mentre l’altra raggiunse San Sebastiano al Vesuvio e Massa di Somma, costringendo circa diecimila persone all’evacuazione verso Portici. Un resoconto vivido dell’avanzata della lava a San Sebastiano, descritto da Norman Lewis nel suo libro “Naples ’44” (1978), dipinge un quadro agghiacciante di una folla inginocchiata in preghiera mentre la lava, inesorabile, inghiottiva case e chiese. La lenta ma inarrestabile distruzione, descritta con inquietante precisione, sottolineava la potenza distruttiva della natura. L’eruzione proseguì con ulteriori fasi, culminando il 22 marzo in una possente colonna eruttiva che scaraventò cenere e lapilli su un vasto territorio, interessando, tra gli altri, Terzigno, Pompei, Sarno, Angri, Pagani, Nocera Inferiore e Cava de’ Tirreni. Nocera Inferiore, sebbene più distante dal vulcano, subì pesanti conseguenze: dodici cittadini persero la vita, metà dei quali bambini, un tributo straziante rispetto alle ventisei vittime complessive in Campania. Queste perdite, causate da una combinazione di fattori – l’attaccamento alle proprie case, la mancanza di mezzi di trasporto per l’evacuazione e l’assenza di sistemi di protezione civile come quelli attuali – rimangono una ferita aperta nella memoria collettiva. La scarsa distanza dal Vesuvio, unita a condizioni climatiche avverse, aggravò la situazione. È doloroso constatare che, a distanza di anni, nessuna lapide ricordi queste dodici innocenti vittime: Luigi Costanzo, Rosaria Vicidomini col figlio Mario Notari, Leonilde D’Alessio, Antonia Ferrentino di Giovanni, Rosa Cassata con le figlie Luisa e Angelina Ferrentino, i fratelli Alfonso e Vincenzo Tortora, Maria Granato e Luigi Ferrentino. Un tragico tributo a un evento che continua a risuonare nel cuore di Nocera Inferiore.
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