Una recente sentenza della Corte Suprema di Cassazione (n. 2196/2016) ha rafforzato la tutela della privacy telefonica, offrendo agli utenti strumenti più efficaci contro le chiamate commerciali indesiderate. La fastidiosa esperienza di ricevere telefonate da call center, spesso con numeri sconosciuti o prefissi insoliti, è un problema diffuso. Molti utenti reagiscono con fastidio e rassegnazione, ricorrendo a stratagemmi per evitare le prolisse presentazioni di offerte commerciali. Alcuni si fingono altre persone, altri mostrano irritazione. La legislazione precedente prevedeva che l’iscrizione negli elenchi telefonici pubblici implichi un consenso implicito alle chiamate a scopo commerciale, salvo iscrizione nel “registro delle opposizioni”. Inoltre, il fenomeno delle chiamate “mute”, effettuate da sistemi automatici per testare la presenza di un utente a casa, aggiunge un ulteriore elemento di preoccupazione, anche per la possibilità di attività malevole. In realtà, queste chiamate silenti sono spesso dovute a inefficienze organizzative delle aziende, che utilizzano sistemi automatizzati che inviano un numero elevato di chiamate rispetto alla disponibilità di operatori. La sentenza della Cassazione ha introdotto un importante chiarimento: mentre l’iscrizione negli elenchi telefonici pubblici può comportare il consenso implicito alle chiamate commerciali sui numeri fissi, questo non si estende ai numeri di cellulare. Le chiamate di telemarketing sui telefoni mobili sono quindi sempre illegali. Inoltre, la sentenza limita a una al mese il numero massimo di chiamate “mute” consentite, in linea con la direttiva comunitaria 2002/58. In caso di violazione di queste norme, gli utenti possono presentare reclamo al Garante per la protezione dei dati personali, sia per chiamate commerciali reiterate sia per le chiamate “mute” ripetute. Questa sentenza rappresenta una significativa tutela per la privacy telefonica e costituisce un’informazione utile per tutti gli utenti.
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