Le proteste studentesche contro le inefficienze del sistema scolastico italiano sono frequenti, ma l’occupazione di un istituto scolastico comporta serie conseguenze legali. La Corte di Cassazione, nella sentenza n. 7084 del 2016, ha ribadito che impedire l’accesso regolare alla scuola costituisce reato, nello specifico interruzione di pubblico servizio e violenza privata. Il caso riguardava uno studente condannato in primo e secondo grado per aver bloccato l’ingresso principale della scuola, limitando l’accesso solo tramite una porta secondaria e condizionandolo alla partecipazione alla protesta. Tale azione ha privato studenti e personale scolastico del diritto all’istruzione e al lavoro, violando così diritti costituzionalmente garantiti. La Suprema Corte ha respinto il ricorso dello studente, sottolineando che l’esercizio di diritti fondamentali, come la manifestazione del pensiero, non giustifica la compressione illegittima di altri diritti. L’alto tribunale ha ritenuto correttamente applicata la giurisprudenza precedente, secondo cui la legittimità di tali azioni cessa quando si ledono altri interessi costituzionalmente tutelati. La sentenza evidenzia la possibilità di alternative più rispettose dei diritti altrui, come ad esempio un’autogestione concordata. La circostanza che in passato simili proteste non abbiano avuto conseguenze disciplinari non esime da responsabilità chi agisce consapevolmente in modo antisociale, soprattutto in presenza di un’esplicita opposizione da parte della dirigenza scolastica.
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