Autoscatti mortali: un’escalation di pericoli e la risposta di Mumbai

L’incremento allarmante di decessi correlati agli autoscatti è una realtà innegabile. Questo fenomeno, inizialmente oggetto di dibattito tra chi lo considera indice di narcisismo e chi lo interpreta come aspetto dell’evoluzione socio-tecnologica, ha raggiunto proporzioni drammatiche. Nel 2015, le vittime di selfie letali hanno superato quelle degli attacchi di squali, raggiungendo circa 20 decessi, un raddoppio rispetto all’anno precedente. La motivazione principale dietro questi comportamenti estremi sembra essere il desiderio di affermare la propria unicità e valore agli occhi del mondo. Un tragico esempio è la recente morte di un sedicenne indiano, investito da un treno mentre tentava un selfie. Un altro caso sconcertante riguarda un delfino in Argentina, la cui agonia in spiaggia è stata immortalata da numerosi spettatori. Per arginare questa pericolosa tendenza, Mumbai ha istituito le “zone no-selfie”, aree a rischio dove è vietato scattare autoscatti, pena una multa. Queste zone, per lo più aree costiere con scarsa sicurezza, rappresentano un tentativo di contrasto a questa pericolosa moda. L’efficacia di questa misura è incerta; molti psicologi, infatti, ritengono impossibile fermare del tutto un comportamento dettato da un bisogno compulsivo di attenzione, ma l’iniziativa di Mumbai costituisce comunque un importante passo avanti nella prevenzione di tragedie legate agli autoscatti.