La pervasiva influenza dell’inglese sui media italiani – giornali, radio e televisione – genera un’incessante pioggia di anglicismi spesso superflui e artificiosi. Espressioni come “job act”, “stepchild adoption”, “bail-in”, “quantitative easing”, inondano quotidianamente l’informazione, creando non solo difficoltà di comprensione ma anche ambiguità e contraddizioni, specialmente su temi complessi e delicati per l’opinione pubblica. L’adozione da parte di coppie omosessuali (“stepchild adoption”), il dissesto bancario e le perdite dei risparmiatori (“bail-in”), le politiche monetarie della BCE (“quantitative easing”) sono solo alcuni esempi di questo fenomeno. L’utilizzo improprio di questi termini, come evidenzia un amico, spesso riflette un’ostentazione fine a se stessa, anziché una reale necessità tecnica. Per contrastare questa tendenza, proponiamo una legge che vieti l’uso di termini stranieri negli articoli di stampa in lingua italiana, salvo casi specifici: traduzione tra parentesi e preceduta dall’equivalente italiano, oppure articoli interamente in lingua straniera. Inoltre, si potrebbe prevedere una sanzione di 250 euro (o importo da definire) per ogni termine straniero usato senza la corrispondente traduzione italiana. Le somme raccolte potrebbero finanziare un fondo per libri e materiali scolastici destinati a bambini di famiglie svantaggiate, inclusi i rifugiati.
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