“Ogni atto di volontariato, apparentemente disinteressato, cela una ricompensa, sia essa materiale, sociale o emotiva”, afferma la dottoressa Marianna Serio, psicologa e psicoterapeuta cognitivo-comportamentale specializzata in psicologia giuridica. Dalle attività caritative parrocchiali alle raccolte fondi, dal lavoro ospedaliero ai piccoli gesti quotidiani di aiuto reciproco: l’uomo si prodiga per gli altri anche senza aspettarsi un corrispettivo tangibile. Ma quali sono le motivazioni sottese a questo comportamento? Spesso si presume che ogni azione umana sia dettata da un tornaconto, ma la realtà è più sfaccettata. La dottoressa Serio spiega che alla base dell’aiuto gratuito c’è sempre una spinta, che può essere egoistica o altruistica. Nel primo caso, la ricompensa può consistere nell’attesa di reciprocità, nella riduzione dello stress personale, nel conseguimento di approvazione sociale o nel semplice sollievo interiore. L’altruismo puro, invece, è dettato dall’empatia, dalla capacità di condivisione emotiva e cognitiva con chi soffre. Anche le organizzazioni non-profit, a detta della Serio, nascono spesso da motivazioni complesse, in cui la volontà di aiutare gli altri si intreccia con bisogni personali irrisolti, come la perdita di un caro o la volontà di riparare ad esperienze passate. Insomma, dietro ogni gesto gratuito si cela un obiettivo, sia esso di natura economica o di gratificazione personale. Come canta il gruppo hip hop “Two Fingerz”: “Nessuno fa niente per niente, quindi se fanno qualcosa per te: chiediti perché”.
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