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Un Natale nocerino: ricordi d’infanzia in un palazzo di tufo

In un palazzo di tufo nolano, costruito nel 1890 dal mio bisnonno materno, un ricco armatore e commerciante di legname, trascorsi i miei primi Natali. La memoria, stimolata dal ricordo del capolavoro felliniano “Amarcord”, mi riporta a quei giorni di festa, privi della televisione ma allietati dalle melodie gracchianti dei 78 giri di Annamaria Barbato Ricci, ascoltati dal mio grammofono tedesco. Mio padre morì giovane a causa di una grave peritonite, lasciando una vedova inconsolabile, la mia indimenticabile nonna Teresa, una donna forte e determinata che amministrò saggiamente l’eredità familiare. In questa dimora, nacqui in modo rocambolesco, un parto prematuro e rischioso che sfidò le previsioni poco ottimistiche dei medici locali e salernitani. Sopravvissi, dimostrando fin da subito una tenacia e un amore per la vita che mi hanno accompagnata in ogni esperienza. Per tre anni e mezzo fui una vera principessa, l’unica figlia di famiglia, viziata e coccolata, fino all’arrivo di mia sorella, il 27 dicembre.

Conservate nei miei ricordi, come immagini nitide, le feste natalizie dell’infanzia, trattata come una divinità in famiglia. Ricordo la rarità di una televisione (forse solo una ventina a Nocera), il presepio intagliato della Val Gardena, e il grammofono, sempre acceso, che riproduceva i miei dischi preferiti, prima a 78, poi a 45 giri. Ero circondata da bambole e giocattoli, immortalata nelle fotografie di Foto Napoli (all’epoca le macchine fotografiche erano un lusso), come un’infanta spagnola, intenta ad ammirare un albero di Natale scintillante. Un’immagine che trentacinque anni dopo si rivela quasi una premonizione, se confrontata con una foto del mio figlio.

Tra i ricordi più gustosi, i dolci di Natale di de Angelis, proibiti alla mia giovane età, e l’insalata di rinforzo della mitica Celeste, altrettanto inaccessibili per una bambina. E gli struffoli di Zietta? Ricordo di essermi opposta al ricovero ospedaliero a Cava dei Tirreni, un’esperienza drammatica in un reparto di Neonatologia caratterizzato da una evidente malasanità, per poter gustare sartù di riso e struffoli prima del parto.

I miei Natali nocerini erano caratterizzati da doppi regali: a Natale e a Epifania, grazie al generoso Bambin Gesù e alla Befana, che in realtà avevano una sola fonte: il negozio di giocattoli di Enrico d’Andria a Cava dei Tirreni. Le foto d’epoca mi mostrano una bimba paffutella, circondata da bambole, una culla, un cavallo a dondolo, una macchinina rossa, tazzine e bicchierini. Ero felice, anche se allora non ne ero consapevole. Ma già allora mostravo un carattere indomito, donchisciottesco.

La parrocchia di San Matteo, dove credo officiò don Alfonso de Angelis, mi battezzò quasi in punto di morte. La parrocchia organizzò una lotteria il cui premio era un Gesù Bambino a grandezza naturale, portato di casa in casa dalle donne devote. A due anni, ero affascinata dal Bambino e, durante una visita a casa mia, lo accarezzai dolcemente. La processione continuò a casa di zia Ersilia Barbarulo, vedova di un sindaco nocerino e madre di un altro barbaramente assassinato. Mentre le donne pregavano, io esplora una stanza da cui provenivano voci di due giovani, che, con noncuranza, dileggiavano zia Ersilia e le altre donne.

Scatenai la mia furia contro i due colpevoli di blasfemia, colpendoli con pugni e schiaffi. La mia collera, le mie lacrime e le mie accuse di aver offeso il “Pallidino” – così ribattezzavo il Bambino Gesù – generarono un grande scompiglio. Neanche a due anni, ero già una crociata contro i mulini a vento, a difesa dei miei valori. Un destino beffardo, o la mano del “Pallidino”, mi fece poi sposare, quest’anno, il cugino della futura moglie di uno dei due giovani accusati. La riffa portò infine il “Pallidino” a casa nostra. Anni dopo, a causa di un trasloco in un appartamento più piccolo, la statua trovò posto nella cappella di un amico di famiglia. Questi sono solo alcuni dei miei ricordi natalizi a Nocera. Auguri, signor Direttore, e a tutti i lettori.

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