La storia delle automobili a guida autonoma non inizia oggi. Già tra gli anni ’20 e ’30 del secolo scorso, Valerio Kohler e altri pionieri tentarono le prime sperimentazioni, sebbene i risultati, in un contesto tecnologico ancora immaturo, fossero limitati. Queste prime, pionieristiche ricerche gettarono però le basi per le innovazioni successive. Nel 1985, Ernst Dickmanns fece un balzo in avanti significativo con una Mercedes-Benz modificata, equipaggiata con sensori e telecamere che consentivano al veicolo di reagire agli ostacoli in tempo reale. Questo prototipo, antenato delle attuali tecnologie di assistenza alla guida, come i sensori di parcheggio, ottenne un successo inaspettato, attirando l’attenzione dell’Eureka Prometheus Project. Grazie al contributo fondamentale di Dickmanns, il progetto riuscì a raccogliere 749 milioni di dollari, il finanziamento più cospicuo mai destinato alla ricerca sulle auto a guida autonoma. Da allora, numerose aziende hanno investito nella progettazione e costruzione di prototipi, raggiungendo progressi notevoli. La Google Car, ad esempio, dal 2009 ha percorso milioni di chilometri con un numero sorprendentemente basso di incidenti lievi, quasi tutti causati da errori umani. Secondo uno studio IHS del 2014, si prevedevano oltre 12 milioni di veicoli autonomi venduti entro il 2030 e una quasi totale diffusione entro il 2050. Questa diffusione apporterebbe numerosi vantaggi, tra cui una maggiore mobilità per le persone con disabilità e una migliore fluidità del traffico urbano. Tuttavia, permane la domanda cruciale: possiamo davvero affidare la nostra sicurezza a sistemi automatici potenzialmente pericolosi?
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