Il fallimento di Gomorra: da denuncia sociale a glorificazione del crimine

Roberto Saviano, a distanza di anni dalla pubblicazione del suo libro-inchiesta “Gomorra”, ha perso la sua battaglia contro la camorra. L’opera, inizialmente concepita per svelare le intricate dinamiche della criminalità organizzata campana, esponendone i meccanismi e smascherando i suoi protagonisti, si è trasformata in un fenomeno di massa, un marchio registrato che ha generato film, adattazioni teatrali e, soprattutto, una popolare serie televisiva. Questo processo di trasformazione ha però compromesso il messaggio originario. Mentre inizialmente l’opera di Saviano, con la sua ampia esposizione internazionale, avrebbe potuto minare la camorra, nel tempo è diventata un elemento di identificazione, un mito, contribuendo alla sua stessa glorificazione. L’autore, forse influenzato dalla vanità, ha assistito a questa evoluzione, senza riuscire a frenare la deriva del suo progetto. Il vero fallimento sta nella involontaria, ma grave, attrazione che l’opera ha esercitato sul mondo criminale, in particolare tra i giovani. La serie televisiva, in particolare, è diventata un vero e proprio oggetto di culto, con i suoi personaggi e le loro vicende, ampiamente celebrati e imitati. Saviano, da acerrimo avversario della criminalità organizzata, si è così involontariamente trasformato nell’idolo di coloro che avrebbe dovuto combattere. Questi giovani, sognando un futuro simile a quello dei personaggi di Gomorra, si identificano con la violenza e l’illegalità rappresentate, trasformando il racconto iniziale in un modello di vita. Se lo scopo di Saviano era quello di smantellare la camorra, rendendola oggetto di disprezzo, il risultato finale dimostra un’evidente distorsione del messaggio, con la spettacolarizzazione del crimine che ha sopraffatto l’intento iniziale. Un’ironia tragica, il successo di un’opera che ha fallito nel suo obiettivo principale. La giostra, ormai inarrestabile, continua. Pierangelo Consoli