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Ricerca delle radici: la storia di Giovanni Carusci a Nocera Inferiore

Ben noto tra gli abitanti di Nocera Inferiore, dove risiede presso il “Villa dei Fiori” a San Pantaleone, Giovanni Carusci, insieme al suo inseparabile amico Ciro Esposito, è profondamente integrato nella comunità. Un desiderio, però, lo tormenta: ritrovare la sua famiglia, perduta fin dalla nascita. “Sono arrivato a Nocera Inferiore l’11 ottobre 1975 e mi chiamo Giovanni”, esordisce durante la nostra conversazione. La sua fama cittadina è tale da aver ispirato, insieme all’amico Ciro, la canzone “Ciro e Giovanni” di Luca “Joe” Petrosino. Il suo profondo desiderio è svelare il mistero delle sue origini: “Vorrei ritrovare i miei familiari, capire da dove vengo. La mia carta d’identità indica una nascita a Roma il 17 gennaio 1958, e mi dicevano di essere figlio di ‘nn’. Potremmo andare insieme all’ufficio anagrafe per vedere se hanno informazioni su di me? Desidero ardentemente incontrare un mio parente”. Con sorprendente chiarezza, Giovanni narra la sua infanzia: trascorse cinque anni a Civitavecchia, presso l’istituto Santa Rita, vicino al porto antico. Ricorda che ogni bambino possedeva un oggetto che lo legava alla sua famiglia, mentre lui non aveva nulla. Ricorda però una donna che lo visitava, che credeva essere sua nonna, di corporatura snella, tra i 60 e i 64 anni, che gli portava caramelle quadrate e un pallone arancione leggero, un Super Santos. Successivamente, per il suo carattere vivace, venne trasferito in un istituto nei Castelli Romani, dove trascorse sei anni, ricevendo anche la cresima da una madrina di nome Luciana Brunella o Brunetti, di origini meticce. Seguì un periodo di sei anni presso una struttura sulla Tiburtina, gestita da Nicky Pende, per poi arrivare a Nocera Inferiore nel 1975. La sua conoscenza del settore sanitario e delle strutture acquisite dal gruppo Pende è impressionante, dimostrando una lucidità sorprendente. La sua memoria è prodigiosa: ricorda tutto e tutti. Ciro Esposito, soprannominato Ciruzzo, è un esempio vivente di questa incredibile facoltà mnemonica. Ogni incontro è contrassegnato dalla richiesta: “A’ tiene ‘a bella cosa?”, riferendosi alla moneta, da 50 o 100 lire un tempo, oggi un euro. Ricorda con precisione assoluta la nostra ultima conversazione, le mie figlie, le loro attività, dove ho studiato e con chi. Durante la nostra conversazione, incrocia una signora e la ferma: “Lei è la moglie del gioielliere. Siete stati a scuola insieme, nello stesso periodo. Ricorda – dice alla donna – che per un periodo si faceva anche i ricci?”. Incredibile! Io stesso non ricordavo più le mie permanenti alla Maradona… Giovanni mi chiede poi di spegnere il registratore, rivelandomi episodi dolorosi vissuti negli istituti, e fatti inconfessabili su alcuni cittadini nocerini. Concludiamo con una promessa: mi impegnerò a cercare informazioni sulla sua famiglia, per restituirgli, dopo 57 anni, le radici che gli mancano.

Redazione

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