L’episodio del 18 febbraio di un noto programma televisivo ha mostrato un’immagine straziante: il padre di Melania Rea, vittima di un brutale omicidio avvenuto il 18 aprile 2011 per mano del marito, Salvatore Parolisi. La cronaca del delitto, ampiamente riportata dai media, ha evidenziato dettagli agghiaccianti: la premeditazione, le trentacinque coltellate inferte sul corpo della giovane donna, comprese sul viso e sul seno, segno evidente di una violenza inaudita che andava ben oltre l’atto omicida stesso. Melania, secondo le indagini, era una moglie e madre amorevole, una donna leale che ha scoperto i tradimenti del marito senza mai sospettare la sua natura mostruosa. La sentenza, che ha escluso l’aggravante della crudeltà, definendo l’atto un “delitto d’impeto”, ha sollevato indignazione e interrogativi sulla giustizia italiana. Si potrebbe domandare cosa avrebbe dovuto fare Parolisi per dimostrare la sua spietatezza? Mentre si discute di riabilitazione per il colpevole, manca una riflessione sull’equità della sentenza e sul sostanziale sbilanciamento del sistema giudiziario, che sembra privilegiare i diritti dei condannati a scapito delle vittime e dei loro cari. Ma ciò che più colpisce è la dignità della famiglia Rea, e in particolare del padre, che fino all’arresto di Parolisi, ha creduto nell’innocenza del genero, difendendolo nonostante le prove che incriminavano l’uomo che la figlia amava. Impossibile accettare che quell’uomo potesse essere un mostro capace di tale atrocità. Le immagini televisive mostrano un uomo che ricorda la figlia con commozione, un padre affettuoso, seppur secondo la sensibilità di un’epoca passata, un uomo che carezzava la figlia solo nel sonno, senza eccessive dimostrazioni di affetto, come era consuetudine per i genitori di un tempo. E mentre il padre racconta con voce rotta dal dolore e dalla sofferenza, una lacrima scende in silenzio, dietro gli occhiali, sul volto segnato dall’età, dal dolore e dall’inaccettabile mitezza della sentenza, ma ancora impreziosito dalla sua immensa dignità.
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