La sfida della maternità in Italia: un percorso a ostacoli nel 2014

La sfida della maternità in Italia: un percorso a ostacoli nel 2014

Nel 2014, la realtà italiana si presentava come un ambiente ostile per le madri lavoratrici. L’occupazione femminile era in costante diminuzione, con contratti precari che spesso cessavano con l’inizio della maternità. La mancanza di asili nido pubblici o la loro scarsa disponibilità, unita all’elevato costo di quelli privati, rappresentava un ulteriore ostacolo significativo. Diventare madre in Italia si configurava dunque come un’impresa ardua, una situazione a cui pochi sembravano prestare adeguata attenzione. Le donne italiane, tra mille difficoltà, riuscivano a conciliare le responsabilità familiari con le esigenze lavorative, gestendo con abilità e determinazione le molteplici sfide quotidiane: dalle bollette da pagare ai costi elevati di asili, baby sitter e beni essenziali per i bambini. Si trovavano a dover bilanciare impegni lavorativi spesso precari, con le incombenze familiari e la cura dei figli, affrontando notti insonni e chiamate inattese. Lo Stato, intanto, sembrava lasciare le mamme sole ad affrontare queste difficoltà. Anna, 33 anni e in attesa del suo primo figlio, ne è un esempio emblematico. Il suo contratto a tempo determinato stava per scadere, e il datore di lavoro aveva anticipato il suo congedo di maternità, senza alcuna prospettiva di rinnovo. La sua storia, costellata di sacrifici e trasferimenti all’estero per migliorare le proprie prospettive lavorative, riflette la difficoltà di molte donne italiane. Il paradosso è che, nonostante le difficoltà economiche, coppie come quella di Anna e il suo compagno (un barista che guadagnava 900 euro al mese), si trovavano escluse dal sistema di asilo nido comunale a causa dei criteri di assegnazione, che privilegiavano famiglie con entrambi i genitori occupati. Secondo i dati Istat del 2014, l’Italia presentava una grave carenza di politiche di conciliazione vita-lavoro, come testimoniato dall’aumento delle donne che cessavano l’attività lavorativa entro i due anni dal parto. La scelta di rimanere a casa a tempo pieno risultava un lusso accessibile a poche, rendendo indispensabile un secondo reddito familiare per affrontare le spese, soprattutto in assenza di servizi pubblici adeguati. La carenza di asili nido pubblici, in particolare al Sud, spingeva molte famiglie a rivolgersi al settore privato, con costi notevolmente più elevati. A ciò si aggiungevano le spese per baby sitter in caso di malattia del bambino o durante l’estate. La vita quotidiana delle madri diventava quindi un precario equilibrio, garantito spesso dal part-time o dall’aiuto dei nonni. In definitiva, il desiderio di maternità, un diritto fondamentale, si trasformava in una lotta contro pregiudizi e ostacoli strutturali, con una società che sembrava aver dimenticato l’importanza delle politiche sociali a sostegno della genitorialità.