Un’esplorazione nostalgica di luoghi urbani scomparsi. “Per narrare la mia città, ho dovuto sognarla”, ha affermato Mimmo Oliva. L’idea iniziale, scrivere del proprio paese natale, lo aveva inizialmente intimidito. Poi, una sera, si è ritrovato a percorrere le strade, quasi a riscoprirle. La sua infanzia era racchiusa entro confini precisi: il carcere, con i detenuti aggrappati alle sbarre, di fronte alle case delle prostitute, creando uno stretto passaggio; terre desolate da un lato, e dall’altro, l’estesa periferia e numerose fabbriche. Ricorda strade non illuminate e non asfaltate, in netto contrasto con la zona opposta. Oltre il passaggio angusto si ergevano il ponte, le caserme e il manicomio. Ricorda una sera, seduto con gli amici su un muretto di una segheria, quando un’accetta sfiorò la testa di uno di loro, lanciata da “Schizzo”, che poi venne brutalmente picchiato. Anni dopo, si domanda quanti di quei ragazzi abbia ancora incontrato. La ricerca del muretto si è rivelata vana; solo finestre debolmente illuminate interrompevano l’oscurità. Quella notte umida e fredda, tipica della sua terra, ha ripercorso i suoi passi, osservando la sua vecchia finestra. Poi, si è ritrovato a lasciare il vicolo stretto, fermandosi davanti ad una fontana asciutta, circondato da edifici demoliti. Ricorda come, da bambino, lui e i suoi amici si appoggiavano al muro, guardando le prostitute, tra cui Nanninella e Titina, e ascoltando i commenti dei carcerati. Ricorda l’ira dei detenuti quando le prostitute furono allontanate, le case abbattute, poi il carcere stesso, e infine le abitazioni vicine, demolite per aprire una nuova strada. Ha evitato quella zona, proseguendo verso le ciminiere, ormai scomparse. Iniziata una pioggia battente, ha incrociato un uomo sulla balaustra di un ponte, scambiando solo un cenno. L’uomo, sussurrando, gli ha detto qualcosa. Ha proseguito, passando vicino a una vecchia caserma abbandonata e una chiesa, fino a trovare una panchina. Di fronte, una ciminiera e un supermercato: il ricordo delle tufare lo ha spinto a proseguire verso il crocifisso, attraversando cortili bui. Ha poi raggiunto l’antico manicomio, salendo sul muro come da bambino, ricordando i pazienti che osservavano le partite di calcio, senza che nessuno provasse paura. Da adulto, però, aveva provato terrore attraversando quei reparti. Mentre la pioggia si intensificava, ha proseguito, indeciso tra due strade, arrivando infine ad un cancello chiuso, dove ha visto i pazienti tornare lentamente alle loro stanze, provando una strana sensazione di radici senza altro. “Per scrivere un pezzo sulla mia città, ho dovuto sognarla”, ha concluso Mimmo Oliva.
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