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La sorprendente eredità di Akhenaton: un’ipotesi sulle origini del monoteismo cristiano

Un’indagine stimolante sull’origine del monoteismo cristiano, ispirata da un’opera di Freud, esplora ipotesi storiche affascinanti. Circa vent’anni fa, scoprendo un testo di Sigmund Freud, “Mosè e il monoteismo”, nella biblioteca paterna, rimasi sbalordito. L’opera, lontana dai suoi soliti temi psicoanalitici, si focalizzava su una questione storico-religiosa, rivelandosi un’esperienza sconvolgente. La coincidenza stessa del ritrovamento mi fece riflettere sulla casualità degli eventi e sulla loro influenza. Freud, ebreo di nascita, apparteneva a una comunità forgiata da secoli di persecuzioni cristiane, sviluppando una forte identità e trasmettendo ai discendenti un orgoglio composto ma determinato, capace di resilienza e di strenua autodifesa. La prima parte del libro si concentra su Amenofi IV, faraone della XVIII dinastia, artefice di una straordinaria riforma politico-religiosa, la cui influenza sull’identità culturale occidentale è spesso sottovalutata. L’Egitto sotto Amenofi III, con Tebe come capitale, era dominato da una potente casta sacerdotale, devota ad Ammon, in conflitto con la corte faraonica. L’ascesa al trono di Amenofi IV, figlio di Amenofi III e della regina Tiye, intorno al 1377 a.C., segnò un punto di svolta epocale. Il nuovo sovrano rivoluzionò la religione di stato, soppiantando la classe sacerdotale e sostituendo il pantheon egizio con un monoteismo incentrato sul culto di Aton, il disco solare. Akhenaton, nuovo nome del faraone, trasferì la capitale ad Akhet-aton e si fece ritrarre in scene di vita familiare, contrastando il formalismo celebrativo dei predecessori. La sua politica pacifista, con riduzione delle spese militari, probabilmente alleggerì il carico fiscale, avvicinandolo al popolo. Tuttavia, questa ipotesi rimane speculativa. Un tale sistema si dimostrò instabile. L’espansionismo hittita e le trame dei sacerdoti spodestati portarono alla restaurazione del culto tradizionale dopo la morte di Akhenaton (circa 1362 a.C.). Il giovane Tut-ankh-aton, genero del faraone, successe al trono, ma con la morte di Nefertiti, la controriforma trionfò, Akhet-aton fu abbandonata, e Tut-ankh-aton divenne Tut-ankh-amon. La tomba intatta di quest’ultimo rappresenta un evento archeologico straordinario. La restaurazione segnò un duro colpo per i seguaci di Akhenaton, causando una profonda frattura nella società egiziana. Nonostante l’oblio, l’esperienza del regno di Akhenaton lasciò un’impronta indelebile nell’inconscio collettivo, con l’idea di un principio creatore unico, superiore alle divinità antropomorfe, simboleggiato dal disco solare. Questo desiderio di ritorno al monoteismo non scomparve del tutto dalla società egiziana. Qui entra in gioco la presenza di popolazioni semitiche in Egitto, spesso descritta in modo semplicistico come “schiavitù”. Migrazioni simili avevano già travolto altre civiltà, come i Sumeri sotto la dominazione accadica di Sargon, figura leggendaria la cui storia ricorda quella di Mosè. Le popolazioni semitiche in Egitto, anche se eterogenee, offrivano manodopera a basso costo, venendo tollerate dagli Egiziani. Secondo Freud, la nostalgia per la riforma di Akhenaton si concentrò sulle opposizioni interne alla società egiziana, in particolare contro la classe dominante. Il monoteismo atoniano offrì un concetto universalistico che risuonò nelle fasce emarginate della popolazione. Freud ipotizza che ex funzionari o discendenti di Akhenaton abbiano trovato nell’ambiente semitico un fertile terreno di consenso, creando una simbiosi tra dissidenti egiziani e comunità immigrate. L’ipotesi di Freud su Mosè come ex funzionario di Akhenaton, pur con alcune obiezioni cronologiche (l’Esodo è datato intorno al 1250 a.C., mentre la restaurazione di Amon è avvenuta circa un secolo prima), merita attenzione. La questione della datazione dell’Esodo rimane incerta, ma la chiave è l’intesa tra nostalgici di Akhenaton e la comunità semitica marginalizzata. Freud sottolinea l’origine egiziana del nome “Mosè”, derivante dalla parola egiziana per “fanciullo”, presente in nomi come “Amon-mose” o “Ptah-mose”, confermando l’ipotesi di un’identità egiziana di Mosè. Altre argomentazioni a sostegno dell’ipotesi includono la natura leggendaria della nascita di Mosè, simile a quella di Sargon, l’uso da parte degli Ebrei del termine “Adonai”, affine ad “Aton”, e la somiglianza tra l’Arca dell’Alleanza e la “barca degli dei” egizia. In sintesi: Mosè predicava un monoteismo simile a quello di Akhenaton; aveva un nome egiziano; la sua nascita è leggendaria; “Adonai” ha la stessa radice di “Aton”; l’Arca dell’Alleanza somiglia alla “barca degli dei”. Le genti che uscirono dall’Egitto erano costituite da dissidenti egiziani, seguaci di Akhenaton, e da varie tribù semitiche. Un gruppo eterogeneo, non un popolo omogeneo. La difficoltà di Mosè nel mantenere unita questa comunità è evidente nella storia del vitello d’oro. Si può affermare che gli Ebrei, intesi come un popolo unitario, si sono costituiti dopo l’Esodo, con Mosè come punto di riferimento, analogamente a Maometto per la nascita della nazione araba. La Bibbia non è un prodotto degli Ebrei, ma gli Ebrei sono un prodotto della Bibbia, creata per consolidare la loro identità etnico-religiosa. Dopo l’Esodo, le difficoltà furono molteplici: lotte interne ed esterne. L’ideologia monoteista e la convinzione di essere il popolo eletto permisero agli Ebrei di sopravvivere e consolidare la loro identità. La redazione delle Scritture avvenne probabilmente durante la formazione del regno di David, con l’obiettivo di rafforzare la coesione interna. Gli scribi integrarono elementi di mitologie vicine orientali (accadica e sumera) per creare una narrativa potente e autorevole. La creazione di una continuità storica, con elenchi di patriarchi e la figura di Abramo come capostipite, contribuì a questo processo. La figura di Mosè è trasformata: l’egiziano diventa ebreo, la sua storia viene arricchita con elementi mitici. Similmente, il Cristianesimo si distacca dall’Ebraismo, pur conservando gran parte del suo bagaglio teologico e scritturale. Dio è la forza registica della storia ebraica: le piaghe d’Egitto, la manna, la vittoria di Davide su Golia sono esempi di interventi divini. I personaggi biblici sono spesso avvolti da elementi miracolosi, confermando l’autenticità della scrittura. Abramo, Mosè e Davide, con le sue ambizioni e il “regno di Dio”, sono figure chiave in questo racconto. Dopo la morte di Salomone, il regno si divide, subendo dominazioni esterne. Le Scritture diventano uno strumento per salvaguardare l’identità nazionale e alimentare l’attesa messianica. La distruzione di Gerusalemme segna un momento cruciale, portando alla diaspora. L’eredità monoteista di Akhenaton subisce una trasformazione con la Bibbia e poi con il Cristianesimo. Una nuova sintesi potrebbe emergere quando la globalizzazione mostrerà le sue contraddizioni, forse con un ritorno simbolico al disco solare.

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